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University of Toronto
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L'ANIMA
Saggi e Giudizi
MAGGIO 1911
GIOVANNI VAILATI
(1863-1909)
la vita — Giovanni Papini.
la filosofia secondo Vailati — Giovanni Papini.
dalle lettere di G. Vailati.
(Storia delle idee - Elogio di Locke - Positicisti - Metodo introspettivo -
Sogno e Azione - Teoria evoluzionista - Origine dell' agìiosticismo - TI fonda-
mento delVindu:ione - Validità dell'induzione - Il principio di contradizione
- Proposizioni analitiche - Estetica - Interesse del disinteresse - Cause d'er-
rore e di verità - Firn e mezzi - Linguaggio come causa d'errore - Difesa del
linguaggio - Dio e il male - L'immortalità dell'anima - Te verità necessarie -
L'attività creatrice e la filosofia).
il volume degli scritti — (G. P.).
giudizi su G. Vailati — (E. Bodrero, G. A. Borgese, P. Bo
selli, Th. Neal, G. Eabizzani, G. Vitelli).
bibliografia va ilat ia na.
FIRENZE
6, Via dei Bardi,
L'ANIMA
SAGGI E GIUDIZI
di Giovanni Amendola e Giovanni Papini.
Esce ogni mese in fascicoli di 32 pagine.
Non si mette in vendita presso i librai.
Abbonamenti: un anno, in Italia: L. 6,00; all'Estero L. 7,50
Un numero separato L. 1,00 (ogni richiesta dev'essere accompagnata dal-
l'importo).
Tutto quanto dev' essere indirizzato a G. Papini, Via dei Bardi, 6, Firenze.
FRATELLI BOCCA, EDITORI - TORINO
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Anno I. Numero 5.
L ANIMA
Saggi e Giudizi
GIOVANNI VAILATI (1863-1909)
Questo numero dell'anima dedicato a Giovanni Vailati esce
con parecchi giorni di ritardo. La colpa è quasi tutta del com-
pilatore ma non tutta.
Quelli stessi a' quali pareva dovesse premer di più questo
affettuoso richiamo alla lettura e alla meditazione degli Scritti
dell'amico morto, per quanto pregati e ripregati da parecchi
mesi, non hanno fatto tutto quel eh' io speravo. Col loro aiuto
questo numero sarebbe riuscito assai migliore e incomparabil-
mente più importante : basti il dire che Mario Calderoni avrebbe
dovuto scrivere dell'originalità di Vailati e che Giovanni Vacca
avrebbe esaminata l'opera sua in quanto storico delle scienze.
Ridotto alle mie sole forze e alle mie sole competenze mi
son ridotto a far cosa infinitamente più modesta : una specie di
invito alla lettura del volume di Giovanni Vailati, seguita da
un saggio di lettere che posson dar l' idea di quel che potrebbe
essere l'epistolario scelto dell'amico nostro.
Si avverta che 1' intenzione mia non è di eriger colonne o
scolpir basamenti per inalzare Vailati più in su della sua vera
statura e non vorrei, come dicono, « gonfiarlo ». Ma io ritengo
sinceramente e fermissimamente ch'egli era una delle teste me-
glio fatte dei nostri tempi italiani e che il volume de' suoi
Scritti meriterebbe d'esser letto e meditato più di quel che non
par che si faccia, giacché ci si ritroverebbero ed accenni ed analisi
e sviluppi e consigli ed esempi intorno a quell'arte di pensare e
di ragionare di cui oggi, come sempre, v'è grandissimo bisogno.
Se queste pagine, per quanto mal fatte e non bastanti, in-
voglieranno qualcuno a prendere in mano il grosso volume vai-
latiano con rinnovata curiosità e con amorosa pazienza, io sarò
soddisfatto — e non soltanto per la fama dell'amico ma anche
per l'utilità de' nuovi lettori. G. P.
132 L'ANIMA
LA VITA
Giovanni Vailati nacque a Crema il 24 aprile 1863 dal no-
bile Vincenzo Vailati e da Teresa Albergoni. Fece i primi studi
coi padri Barnabiti : prima nel collegio di S. Maria degli An-
geli di Monza e poi in quello di S. Francesco di Lodi. Nell'au-
tunno del 1880 s' inscrisse nella facoltà di matematica a Torino,
dove, narra il suo biografo, un professore francese al quale era
stato affidato contribuì, con letture e discorsi, a fargli perder la
fede. Fin d'allora studiò con eguale ardore le cose più diverse.
Rimase a Torino fino al 1888 e si laureò, oltre che in inge-
gneria, in matematica pura.
Passò, dopo, due anni a Crema, a casa sua, leggendo e an-
notando quanti più libri potesse. Pensava già di darsi all' in-
segnamento e ne scriveva all'amico Premoli fin dal 1891: in que-
sto medesimo anno compariva il suo primo scritto, nella Rivista
di Matematica del Peano. Ebbe, in quel tempo, incarichi di fi-
ducia dalla sua città : fu membro del Consiglio d'amministra-
zione degli istituti educativi e della commissione di revisione
dell' imposta sui fabbricati.
Nel 1892 il Peano lo chiamò come suo assistente di calcolo
infinitesimale a Torino. Nel 1895 fu nominato assistente di geo-
metria proiettiva e poi assistente onorario del prof. Volterra.
Nel 1899 insegnò nel Liceo privato di Pinerolo ; nell'anno
stesso fu mandato al Liceo di Siracusa ; nel 1900 trasferito a
Bari ; l'anno dopo a Como e nel 1904 a Firenze, dove, per in-
carico de' Lincei, avrebbe dovuto preparare l'edizione nazionale
di Evangelista Torricelli.
A Firenze si legò più profondamente coi giovani del
Leonardo, nel quale scrisse fin dall'annata seconda, e da allora
incomincia quella che si potrebbe dire l'epoca più brillante della
sua vita. Perfino il ministero della pubblica istruzione s'accorse
di lui e il ministro del tempo, per suggerimento del Salvemini,
lo chiamò a far parte della Commissione Reale per la Riforma
della Scuola Media, dove ebbe modo di svolgere e saggiare le
sue idee pedagogiche.
Dal 1906 al 1909 visse tra Firenze e Roma, discutendo
e scrivendo più di prima, e affaticandosi forse più del necessario
per non mancare a nessuno de' suoi doveri. Verso la fine del
SAGGI E GIUDIZI 133
1908 si ammalò abbastanza gravemente a Firenze ; appena si
sentì meglio volle partire, contro i consigli e i desideri degli
amici, per Roma e a Roma ricadde malato e morì nella casa
di salute delle suore di S. Carlo il 13 maggio 1909. Gli furon
fatti funerali solenni : fu compianto e rimpianto da tutti.
Era di persona piuttosto grande e grosso: la faccia rubiconda,
rasa e gioiale ricordava un po' quella di un pastore tedesco
o di un contadino di Breughel. Non era bello di viso né elegante
di vesti ma piaceva a ognuno che con lui parlasse anche per
poco. Rideva spesso : aveva del fanciullesco e dell' ingenuo anche
nell'arguzia e pareva che volesse divertire se stesso svegliando il
riso negli altri. Fu semplice di abitudini ; sobrio nel mangiare
e nel bere ; dimesso nel vestire ; modestissimo in tutto. Amava
appassionatamente la musica e l'amicizia, i libri e i viaggi. Non
credo s' innamorasse mai di donna : so che non volle mo-
glie specialmente pel timore d'esser troppo debole e condiscen-
dente coi figlioli. Ebbe molti amici, alcuni de' quali amò con
affetto più che paterno e più che fraterno, e con loro fu gene-
roso di consigli, d' insegnamenti, di quattrini e di libri.
Viaggiò molto, sia per conoscer gente nuova, sia per re-
carsi a congressi o a visitare scuole o biblioteche : fu più volte
in Francia, in Inghilterra, in Germania, Danimarca, Austria,
Ungheria, Grecia. Predilesse fra i popoli i Greci e gli Inglesi.
Fu lettore assiduisssimo e annotatore instancabile e pur pareva
che non facesse nulla perchè sempre era insieme con qualcuno,
in casa o fuori, per discorrere dei pensieri suoi favoriti. Stava
lunghe ore nei caffè e desiderava sempre conoscere uomini nuovi
e studiarli. Non era eloquente nel senso meridionale della pa-
rola : ma i suoi discorsi, tirati a pulimento logico e tutti sfac-
cettati di metafore e di spiritosaggini, si ascoltavano volentieri
e spesso persuadevano.
Fu orgoglioso della sua mente e delle sue idee ma non va-
nitoso e non si perse dietro alle ambizioni dei più.
Non ebbe nemici.
G. P.
134 L'ANIMA
LA FILOSOFIA SECONDO VAILATI *
Giovanni Vailati aveva dell' ufficio della filosofìa un' idea
che se non era tutta sua era però non poco diversa da quelle
più favorite da' suoi contemporanei.
Il filosofo, secondo lui, non era chiamato a sviscerare i
segreti del cielo e della terra, a metter su impalcature di sistemi
o a piantare cartelli con tanto di verboten a tutte le svoltate
della vita. Il filosofo, invece, doveva essere semplicemente un
ripulitore perpetuo degli errori che perpetuamente ritornano;
un raffinatore e miglioratore degli strumenti del pensiero (lin-
guaggio, logica....) de' quali abbiamo sempre bisogno, qualunque
sia il fine che ci proponiamo.
Oli piaceva rassomigliare il filosofo a un barbiere che deve
ogni poco radere sulla guancia dell' umanità le cause di orrore
che continuamente rinascono o all'arrotino che riaffila i coltelli
che sempre si ottundono o arrugginiscono senza sapere a cosa
serviranno: se ad una operazione chirurgica per salvare un ucmo
o ad un assassino per ucciderne un altro.
La filosofìa, insomma, dev'essere studio e cura de' metodi,
de' concetti, degli strumenti di cui tutti ci serviamo. Solo per
questo essa può distinguersi dalle scienze. « Se vi è infatti un
carattere che distingua la scienza in genere dalla filosofia, mi
pare che esso appunto consista in ciò, che compito di quest'ul-
tima non è tanto di fare delle scoperte quanto piuttosto di pre-
pararle, di provocarle, di farle fare, contribuendo coli' analisi,
colla critica, colla discussione a sgomberare la via che ad esse
conduce, e fornendo i mezzi e gli strumenti (ópyava) richiesti
per superare gli ostacoli che rendono difficile progredire in essa.
Il caso di Bacone, il cui valore come scienziato è pressoché
nullo, e che paragonava se stesso al trombettiere che incita gli
altri ad impegnare battaglia, dandole il segnale senza parteci-
parvi, è caratteristico a questo riguardo ; e, a scusa di lui e dei
molti altri filosofi che si trovano nello stesso caso, si potrebbe
addurre quel noto proverbio contadinesco secondo il quale chi
suona le campane non può nello stesso tempo seguire anche la
processione » (352).
1 I numeri fra parentesi si riferiscono al voi. degli Scritti (Firenze, 1911).
SAGGI E GIUDIZI 135
Il Vailati voleva, a differenza di certi suoi contemporanei
che hanno per le scienze il disprezzo e la repulsione che gli asceti
hanno per le donne (considerate come impure e come produttrici
di pseudo-piaceri), che i filosofi, stessero in maggior contatto cogli
scienziati. « E alla mancanza di solida educazione scientifica
e di qualsiasi « allenamento » a quelle argomentazioni precise
e a quell'ordine rigoroso che le ricerche positive esigono, che
va attribuita quella caretteristica verbosità e quella singolare
imprecisione di linguaggio e di pensiero che tanto spesso i cri-
tici stranieri rimproverano ai nostri scrittori di filosofia, insieme
ad altri difetti non meno deplorevoli » (417).
Non voleva però che la filosofia facesse le parti di suprema
corte di cassazione delle questioni più generali delle scienze
particolari (217) benché ammettesse che il compito dei filosofi
fosse appunto quello, e specialmente quello, di far l'analisi cri-
tica di quelle nozioni più generali ed astratte (tempo, spazio,
sostanza, causa, attività, attitudine, legge, spiegazione) di cui
occorre far uso anche nelle scienze particolari (556).
E la filosofìa somiglia alle scienze anche per un altro verso :
ch'è scoperta di rapporti : « anch'essa, come ogni altro ramo di
scienza e di speculazione, non può a meno che aver di mira la
determinazione di relazioni, di rapporti, di connessioni, sotto
pena di non dir niente e di non servire a nessuno » (652).
Ma la filosofìa, secondo i più, si distingue dalle scienze,
perchè cerca più di esse il generale e tende ancor più ad uni-
ficare. Ma il Vailati — amico fervente e costante del distingue
frequente)' — quasi se ne duole. « La forma — egli dice —
sotto la quale più frequentemente ci appaiono i risultati delle
ricerche filosofiche non è quella del riconoscimento, o della de-
terminazione di nuove distinzioni e differenze, ma al contrario
quella della critica, e del rigetto, di distinzioni comunemente
ammesse » (582) e quella non gli sembrava, come a' molti, strada
buona e da seguirsi sempre.
Tanto più che questa mania del generalizzare ad oltranza
— e sempre più, all'infinito — li porta facilmente a sostituire,
nelle loro valutazioni, i mezzi di cui si servono per conoscere
ai fini per i quali que' mezzi furono escogitati. « La tendenza
a foggiare concetti sempre più generali, anche oltre al punto
nel quale i concetti generali possono servire allo scopo loro, che
è quello di condurci a stabilire delle classi di oggetti dei quali
vi sia poi, o vi possa essere, qualche cosa di più o meno im-
136 L'ANIMA
portante da affermare o da negare, — la tendenza a ricercare
le cause e le spiegazioni oltre il punto nel quale ciò può essere
utile per farci riconoscere come e in quali circostanze si pro-
ducono i fatti che si tratta di spiegare — la tendenza a dare,
o ad esigere, delle definizioni anche di ciò che non può essere
definito se non ricorrendo ad altri concetti o parole ancora più
bisognevoli di definizione e di schiarimento ; — tutte queste
tendenze e le altre analoghe, il cui insieme caratterizza la men-
talità del « filosofo » in quanto si voglia distinguere da quella
dello scienziato o dell'uomo di semplice buon senso, costitui-
scono altrettante speciali manifestazioni del processo di sosti-
tuzione dei mezzi ai fini nel campo delle attività intellet-
tuali » (788). E il Vailati paragonava argutamente i cercatori del-
l'assoluto a quell'aeronauta il quale, volendo salire sempre più
in alto, finita la zavorra cominciò a buttar giù gli strumenti
eppoi i vestiti eppoi la navicella e finalmente sé stesso ! Contro
tali filosofi egli ce l'aveva e parlando di un tale che scriveva
la storia della filosofìa in quella forma semimitologica che la fa
assomigliare a una continua battaglia tra sistemi, egli s'augu-
rava una reciproca strage di metafìsici e che quelle battaglie
avessero « una volta o l'altra, un esito non diverso da quello
che si racconta della lotta fra i due leoni che si mangiarono
l'un l'altro lasciando sul terreno solamente le due code » (652).
Da questa concezione derivava la sua poca simpatia per la
filosofìa tedesca e la sua predilezione per la filosofìa francese e,
sopratutto, inglese e si lamentava che perfino ne' libri di filo-
sofìa del diritto si dia più posto ed importanza ai filosofi tedeschi
che ai francesi (364).
Ce l'aveva poi col Kant in modo particolare e si compiacque
che il Paulsen sostenesse che fra Kant e Hume questi abbia in
fondo ragione e che il tentativo di dimostrare l'esistenza dei
giudizi sintetici a priori sia fallito (293), e ritenne collo Stein
che, a dispetto della Critica, noi abbiamo sempre con Hume un
conto da liquidare. E lo indispettiva sentir parlare di Locke e
di Hume come precursori di Kant : ciò, egli diceva, « mi fa un
po' lo stesso effetto di quello che mi farebbe il sentir parlare
di Galileo o di Newton come dei precursori di Poincaré o di
Picard, ovvero di Bach o Beethoven come dei precursori di
Chopin o di Meyerbeer » (680) e arriva a dire che G-. E. Lam-
bert è superiore a Kant, tanto superiore che questi non l' ha
nemmeno capito! (681).
SAGGI E GIUDIZI 137
E nega che da Kant venga la geometria non euclidea, la
quale è in anzi in perfetto antagonismo colla dottrina kantiana
dell' idealità del tempo e dello spazio (310). Rileva con soddi-
sfazione come lo sviluppo moderno della psicologia genetica
abbia dato torto a Kant (634-635) ; lo accusa di mancanza di
chiarezza e di rigore (681) e dubita fortemente che la Critica
della Ragion Pura rappresenti una « rivoluzione filosofica » (681).
Quando si pensi che per molti Kant rappresenta ancora la
filosofia non c'è bisogno di aggiunger parole per rilevare in qual
contrasto fosse la mente del Vailati con quella dei più fra' suoi
compagni di tempo. Né poteva rifugiarsi tra i positivisti che
davano anche loro esempi di quel vuoto nascosto da parole e
di quelle irregolarità e debolezze di procedura teorica che tanto
lo seccavano e lo disgustavano nei metafisici alemanni. Egli vo-
leva una filosofìa che stesse in contatto da una parte colle scienze
(positivismo) e dall'altra colla vita (pragmatismo) ma senza esa-
gerarsi il valore di quelle, anzi riconoscendone il carattere provvi
sorio e convenzionale e senza neanche lasciarsi fuorviare dai criteri
troppo utilitari dell'altra. Per sfuggire a questi pericoli una vi-
gilanza continua intorno agli strumenti del pensiero e un tra-
vagliarsi per renderli più adatti a qualsiasi scopo.
Il filosofo deve fornire i mezzi migliori e lasciare agli
altri la scelta dei fini. Il neutralismo, oltre il prometeismo (pre-
visione) fu una delle note essenziali del pensiero di Vailati il
quale rifuggì sempre dalle divisioni e decisioni definitive.
A quest' opera — necessaria in ogni tempo — di rieduca-
zione al pensar retto, il Vailati portò notevoli contributi de' quali,
sia per la difficoltà degli argomenti che per la pigrizia degli
italiani, non s'è ancora visto abbastanza il valore, la portata e,
diciamo pure, l'originalità.
G. P.
138 L'ANIMA
DALLE LETTERE DI G. VAILATI
/ passi che seguono son tolti da lettere dirette a G. Boine,
M. Calderoni, G. Papini e G. Prezzolini.
Storia delle idee.
Sul sentimento di « necessità » io sono ben lontano dal cre-
dere che lo studiarne l'origine e le vicende (i fattori, le condi-
zioni etc.) possa servire a « giustificare » la fiducia che istinti-
vamente noi siamo portati ad avere in essi. È al contrario per
renderci conto di quanto poca fiducia essi meritino e per inibire e
disciplinare la suddetta tendenza istintiva che è sopratutto utile
(e anzi necessario, per i filosofi almeno) approfondire tali
ricerche di psicologia comparata, di storia delle idee e delle
opinioni che ci fanno capire quali grandi differenze vi siano
state e vi siano tra uomini di diversi tempi, di diverse razze,
di diversa cultura, di diversa educazione, di diverso tempera-
mento intellettuale etc, nel giudicare della « necessità » della
tale o tale altra proposizione, mentre ognuno (coll'eccezione di
qualche raro filosofo) è sempre fermamente convinto che ciò
che è « necessario » per lui sia necessario per tutti e lo sia
sempre stato : precisamente come un uomo di « buon senso »
dei nostri tempi crede ingenuamente che, per es. il « buon
senso » d'un antico romano o d'un chinese non possa essere in
opposizione al suo (mentre ne differisce assai più di quanto pos-
sano differire tra loro due sistemi filosofici presi a caso).
(16 novembre 1903).
Elogio di Locke.
È a lui, mille volte più che a Kant, che fa capo quello
che, per brevità, si può indicare come V indirizzo critico della
filosofìa moderna : quell'indirizzo, che nei suoi migliori rappre-
sentanti, si manifesta come mirante a emancipare la mente
umana da ogni vincolo che essa non si sia consciamente e de-
liberatamente imposto, da ogni vincolo di cui essa non veda la
ragione, lo scopo, la funzione, la giustificazione, da ogni vincolo
che provenga da un' inabile Lenkung della sua attività. Egli
SAGGI E GIUDIZI 139
non si è accontentato di dire che la mente è attiva nell'acquisto
delle sue cognizioni : ma si è domandato in che cosa consistesse
la sua attività, e quali fossero le operazioni da essa effettuate
sul materiale che l'esperienza (interna o esterna : dato che abbia
senso questa distinzione, il che sarebbe da discutere) le fornisce.
Tali operazioni e gli strumenti che ad esse servono, egli ha sot-
toposto ad analisi, ha notomizzati, ha vivisezionati. Tu dirai che
talvolta li ha, perciò appunto, dovuti ammazzare. E ti rispondo
che ha fatto benissimo. I concetti per esempio di « causa » e
di « sostanza » dopo essere stati analizzati e decomposti da
Locke nei loro elementi, dopo essere stati da lui smascherati e
fatti riconoscere meglio per quel che sono e per quel che dovreb-
bero essere, non hanno perduto ma al contrario acquistata atti-
tudine a servirci, per quanto abbiano perduta l'attitudine di
serva-padrona che prima li contraddistingueva e li rendeva insop-
portabili. E tra gli strumenti di pensiero che Locke ci ha riconse-
gnato ripuliti e disinfettati (per quanto ancora sempre disposti ad
arrugginirsi e ad ottundersi un'altra volta) io metto in primo
luogo quello rappresentato dalla « parola ». Nessun filosofo, dai
Greci in poi, ha avuto più chiara coscienza di Locke delle insidie
del linguaggio e delle possibilità di evitarle mediante V appello
al concreto, all'individuale, al particolare, di cui l'astratto, il
generale non devono essere riguardati che dei recipienti (più ò
meno soggetti a lasciar passare del liquido dalle loro fessure
inevitabili). Initium sapientae est timor.... nominis. E questo il
timore che Locke ha avuto il coraggio di avere. E sul suo mo-
numento, se si farà, nessun altro suo detto sarebbe più adatto
a essere scolpito del seguente : The faults which men are usually
guiltj^ of, by the careless use and application of words are not
only the greatest hindrances to true knowledge, but are so well
thought of as to pass for it. (Essay. Ili, 5). Sia gloria a lui e
auguriamoci non sia l'ultimo della sua razza come quasi è stato
finora. (29 luglio 1904).
Positivisti.
I positivisti scambiano spesso per scoperte il loro accorgersi
di qualche difetto nelle loro teorie. (È il caso per esempio della
Gr. Lombroso che < scopre » che la degenerazione ha dei van-
taggi): le chiamerei piuttosto dei pentimenti o dei rappezza-
menti (delle coperte piuttosto che delle scoperte).
(26 agosto 1904).
140 L'ANIMA
Metodo introspettivo.
A questo si obietta che il solo fatto di osservarci dentro fa
sì che le cose ohe osserviamo non siano più quelle che sareb-
bero se non le osservassimo : se poi dobbiamo ricorrere alla me-
moria per osservare ciò che è già passato in noi essa non può
fare a meno di sussidi esteriori la cui interpretazione è soggetta
agli stessi pericoli come l'interpretazione dei segni esteriori
esprimenti ciò che avviene in persone diverse da noi. La
« psiche » di me bambino di 10 anni è tanto estranea a me
come mi è estranea quella d'un selvaggio o d'un cinese; e quanto
alla mia « psiche » d'oggi essa è come un occhio che non può
vedere se stesso se non guardandosi in uno specchio.
(18 dicembre 1903).
Sogno e azione.
Tra quelli che hanno sognato ciò che non si poteva fare e
quelli che hanno fatto, o reso possibile che si faccia, ciò che
nessuno (ed essi meno degli altri) hanno mai sognato di volere,
è necessario che sorgano quelli che proclamino che il fare e il
poter fare non hanno valore se non in quanto servono a « rea-
lizzare qualche sogno » e che i sogni non hanno valore se
non in quanto si possa sperare di avere forze e mezzi per realiz-
zarli. Il contemporaneo riconoscimento di ambedue queste esi-
genze è molto di più di quanto abbisogni per dar corpo e vita
a una nuova orientazione della speculazione filosofica : nessun
più alto scopo questa ha mai avuta né potrà mai avere.
(7 aprile 1904).
Teoria evoluzionista.
La tendenza di questa a ridurre le varietà presenti a delle
omogeneità passate è più che compensata dalle prospettive di
diversità future che essa ha aperto, per solo fatto di far riguar-
dare come variabili e modificàbili molte cose che anche i più
arditi pensatori del passato (non escluso Eraclito) avrebbero esi-
tato a qualificare come tali. Che cosa contano di fronte a ciò
le piccole incoerenze o deficienze dello Spencer riguardo alle
applicazioni pratiche o politiche delle sue teorie ?
(9 febbraio 1904).
SAGGI E GIUDIZI 141
Origine dell'agnosticismo.
Gli uomini, o meglio i filosofi, fecero più presto ad accor-
gersi che l'origine e la giustificazione delle loro credenze e co-
gnizioni andava cercata (direttamente o indirettamente) nell'espe-
rienza, che non ad accorgersi che la stessa cosa era vera anche
delle loro nozioni, concezioni, idee etc. Ne derivò che il campo
legittimo di queste ultime fu per un certo periodo creduto
più ampio che non quello delle prime, dimodoché, durante
tale periodo, gli uomini (i filosofi) s'immaginarono di poter
immaginare quello che già sapevano di non poter conoscere : s'il-
lusero cioè di poter dare un senso a delle proposizioni non tra-
ducibili in termini di esperienza, mentre pure erano già con-
vinti che il non poter tradurre una proposizione in termini di
esperienza era una condizione sufficiente per essere certi di non
poterne provare né la verità né la falsità. Di qui l'illusione
agnostica.
(29 giugno 1901).
Il fondamento dell'induzione.
Credo che parlare di « fondamento dell'induzione » sia una
contraddizione in termini, poiché la distinzione tra ragionamenti
deduttivi e ragionamenti induttivi, dato che abbia valore, con-
siste appunto nel distinguere i ragionamenti che hanno dei fon-
damenti (eie delle premesse da cui derivano sillogisticamente)
da quelli che non hanno fondamento. Naturalmente si può dare
alla parola fondamento anche un senso più largo (per es.
quando si dice : la tal notizia è priva di qualsiasi fondamento)
ma allora i fondamenti di un ragionamento induttivo saranno
i fatti su cui si « basa ». Una induzione fatta « according to
fixed rules » è una deduzione in quanto la conclusione derivi
(per sillogismi) à&W applicare la regola in questione (chiaminsi
esse pure le regole dell' « induzione »).
(4 febbraio 1902'.
Validità dell' induzione.
Riguardo alla questione se « la validità di una induzione
sia qualchecosa di evidente per se » io direi che : o s' intende
per evidente ciò che non può essere negato sotto pena di con-
traddizione (come è il caso per le proposizioni « Analitiche » e
per le testimonianze immediate della coscienza), e allora nes-
142 L'ANIMA
suna induzione è tale che la sua validità sia evidente ; o s' in-
tende per « evidente per sé stesso » qualchecosa che si è por-
tati ad ammettere per vero indipendentemente da qualsiasi
ragione assegnabile e allora qualche induzione è certamente tale
che la sua validità è evidente per sé stessa. Dico qualche e non
tutte perchè la maggior parte dei ragionamenti che qualifichia-
mo come induzioni non sono che frammenti di induzioni la cui
validità non diventa evidente se non pel fatto che, oltre ai fatti
A, B, C su cui le basiamo, conosciamo altri fatti M, N, P che
ci inducono a credere nella sufficienza dei fatti A, B, C per
giustificare la nostra conclusione, — e inoltre conosciamo altri
fatti ancora, E, S, T etc. che ci inducono a credere che i fatti
M, N, P sono sufficienti per provare che i fatti A, B, C siano
sufficienti per provare la conclusione etc. etc. Il processo, anche
nei casi più ordinari, è assai più complicato di quello che i lo-
gici schematizzano semplificando la realtà. La differenza tra i
ragionamenti dell'uomo colto e quelli del bambino e dell'ani-
male, — differenza che si esprime d'ordinario dicendo che il
primo ragiona e gli altri meno o non affatto — sta tutto (o
quasi tutto) nell'attitudine ohe l'uomo ha di organizzare, to a
greater extent, le induzioni nel modo suddetto, in modo cioè che
esse siano brought to bear le une sulle altre.
Se tra le induzioni la cui validità è evidente per se stessa
sia da porre o no la « legge di causalità » a me pare una que-
stione che si può lasciare aperta senza che le altre induzioni
restino senza « fondamento »: resteranno senza fondamento solo
quelle alla cui validità si richiede, oltre alla semplice consta-
tazione dei fatti su cui si basano, direttamente o indirettamente,
anche quell'ulteriore incremento di evidenza che può ad esse
derivare da una vaga presunzione dell'universale dominio della
uniformità e della « causalità ». Il principio di causalità è ri-
sultato di un' induzione come tutte le altre : molte di queste
sono anzi assai superiori ad esso in fatto di certezza ed evi-
denza. Se esso ha il vantaggio di trovare una verifica in tutti
i fatti che verificano qualunque induzione, esso ha d'altra parte
lo svantaggio di asserire di più di quello che tutte le altre
induzioni prese insieme asseriscono e di poter quindi essere
smentito anche da fatti che non smentiscono alcuna altra in-
duzione.
ii2 luglio 1902).
SAGGI E GIUDIZI 143
Il principio di contraddizione.
Che cosa è... se non un avvertimento sul modo in cui bisogna
enunciare le nostre opinioni se non si vuole che quelli che ci ascol-
tano ci attribuiscano, invece di quelle, le opinioni contrarie? Serve
forse esso a qualche altro scopo che a quello di tener desta la no-
stra attenzione onde scoprire in noi o in altri delle incoerenze
o dei doppi sensi ? (Il contrario effetto è invece prodotto dal non
ammetterlo, il che avviene indirettamente, per mezzo di quella
solita metafora del « punto di vista » secondo la quale la stessa
cosa potrebbe essere vera o non vera secondo che più fa comodo
per il contesto o per l'argomento che si ha in vista)... Non si
potrebbe applicare la stessa osservazione a tutte le proposizioni
analitiche, in quanto esse non affermano che delle nostre inten-
zioni o dei nostri propositi sul modo di usare certe frasi o pa-
role o sul senso che noi vogliamo attribuire ad esse ?
(19 luglio 1901).
Proposizioni analitiche.
La relazione tra le proposizioni analitiche, e quelle (altret-
tanto « evidenti ») che esprimono la constatazione d'un dato
stato attuale di coscienza (per es. « Penso la tal cosa », « Ho
freddo » etc.) non potrebbe forse caratterizzarsi dicendo che le
prime sono un caso particolare delle seconde e che la « diffe-
renza specifica » delle prime consiste in ciò che i fatti di cui
esse esprimono la constatazione, si riferiscono alle somiglianze
o dissomiglianze tra stati di coscienza (Guastella) o alla coinci-
denza, totale o parziale, tra i sensi che noi attribuiamo a date
parole o frasi ? In quanto questa attribuzione è volontaria ed è
riguardata come mezzo a determinati scopi (più o meno chiara-
mente concepiti) le corrispondenti proposizioni analitiche acqui-
sterebbero inoltre il carattere ulteriore di « principi metodolo-
gici » come ad es. il principio di contraddizione [il quale non
sarebbe quindi il fondamento dell'evidenza analitica, ma piuttosto
una proposizione analitica più generale, ma niente affatto più
evidente di tutte le altre.]
,27 luglio 1902).
144 L'ANIMA
Estetica.
Definire le cose belle come « quelle che piacciono a tutti »
mi sembra non corrisponda ancora a una completa caratteriz-
zazione di tutto il contenuto (connotazione) che ha la parola
« bello » quando è usata nel « migliore » dei suoi sensi. Non ti
pare che essa implichi che la cosa qualificata sia tale che do-
vrebbe piacere a tutti ? (piaccia poi o non piaccia a tutti effet-
tivamente). Platone risolveva la questione dicendo che bello è
ciò che piace... all'uomo di buon gusto (allo ar-o^ouoc <xvv,p). Si
direbbe un circolo vizioso, ma forse anche qui, come in altri
casi, l'apparenza di circolo vizioso nasce dal dimenticare che
in ogni caso qualche cosa si deve assumere senza ulteriori prove,
e qui questo qualche cosa può tanto essere la distinzione tra
cose belle e cose brutte quanto quella tra uomini di buon gusto
e uomini di cattivo gusto. In questo secondo caso è messa mag-
gior enfasi sul fatto, importante a tener presente, che le cose
più belle hanno sempre cominciato col piacere a pochissimi, e
se sono poi piaciute a tutti è solo perchè a molti non piace
che ciò che piace a quelli che essi ritengono essere migliori
giudici di sé stessi nell'apprezzare la « bellezza » delle cose.
(19 luglio 1901).
Interesse del disinteresse.
Tu dici che negli Studi Sociali non si può essere indiffe-
renti. — Sia pure, ma si può tuttavia proporsi di studiarli
come se si fosse indifferenti, e si può avere motivo di procedere
in tal modo allorquando ci si proponga di arrivare a dei risul-
tati che abbiano la maggior possibile probabilità di farci pre-
vedere quali sarebbero le conseguenze eventuali di dati nostri
modi di agire, e di renderci quindi atti a scegliere opportuna-
mente la nostra linea di condotta in modo che questa riesca
effettivamente conduciva (scusa l'orribile inglesismo) ai fini che
ci proponiamo.
Il suddetto periodo non è abbastanza chiaro e mi spiego
meglio : Se a te interessa di ottenere un dato scopo, non ti po-
trà essere indifferente l'avere una maggiore o minore garanzia
che i mezzi che tu credi conducano ad esso siano veramente ef-
ficaci e non conducano invece, per esempio, a un fine affatto
opposto. (Quante volte ciò capita nell'azione politica : e la mag-
SAGGI E GIUDIZI 145
giore utilità degli studi storici sta, per me, nel far vedere
quanto spesso e ordinariamente ciò si è verificato per gli indi-
vidui e più ancora per le collettività). Ora tra le condizioni la
cui presenza è più strettamente richiesta per evitare un tale
non piccolo inconveniente, si trova appunto il procedere con
buon metodo (facendo cioè tesoro dell'esperienza che i prede-
cessori hanno fatto in proposito.... a proprie spese). E, tra le
regole di buon metodo, tanto per le scienze sociali come per
qualunque altra, una delle più importanti è quella che consi-
glia a mettersi in guardia contro la troppo naturale tendenza
ad accettare per buone delle prove per il solo fatto che esse
tendano a provare ciò che noi vorremmo che fosse vero, od a
chiudere gli occhi davanti a date obbiezioni pel solo fatto che
esse ci potrebbero essere d'ostacolo sulla via verso conclusioni
alle quali noi avremmo piacere di arrivare.
È appunto perchè noi vogliamo raggiungere dei fini, che
siamo costretti a studiare e ricercare come stiletterebbero o ricer-
cherebbero coloro che non li avessero. È un fenomeno di rincorsa,
analogo cioè al cammino che fanno indietro quelli che vogliono
saltare appunto per poter meglio saltare.
Quanto più un uomo tende passionatamente a uno scopo,
tanto più ha interesse a investigare spassionatamente quali siano
i mezzi atti a raggiungerlo : perchè tanto più grande sarebbe
il danno che potrebbe venire a lui dalla trascuranza di porsi,
sia pure artificialmente e provvisoriamente, nelle condizioni mi-
gliori per prevenire ogni illusione nell'apprezzamento dell'effi-
cacia dei mezzi che egli finirà per mettere in opera in vista
dello scopo che gli importa.
(14 gennaio 1904).
Cause d'errore e di verità.
Tra i modi di « agire come se si fosse indifferenti », non
vi è solamente quello di inibire provvisoriamente (in vista ap-
punto di ottenere il massimo risultato utile nelle ricerche che
si intraprendono) l'azione che le nostre preferenze o emozioni
tenderebbero a esercitare sui nostri giudizi. Un altro modo,
spesse volte più pratico, specialmente nelle ricerche in cui è
più difficile spogliarsi dalle suddette preferenze, è quello di
renderci conto del loro effetto perturbatore e dell'ammontare
probabile di questo, correggendo il risultato come un astronomo
146 L'ANIMA
fa le correzioni alle sue osservazioni quando queste siano viziate
dalla rifrazione dell'aria o da qualche imperfezione del suo
strumento.
Così, per fare un altro paragone, è noto il fatto che un
esercito in marcia in terreno uniforme e in mezzo alla nebbia,
tende a deviare verso destra (a causa della diversa estensione
dei muscoli delle due gambe) di qualche metro ogni kilometro.
Ora basta che ciò si sappia perchè il comandante, quando voglia
far procedere la sua truppa in linea retta, lo possa ottenere
facendo fare, dopo un dato numero di chilometri, un alt seguito
da uno spostamento d'un certo numero di passi a sinistra in
direzione perpendicolare a quella in cui vuol procedere.
Quanto all'acido cosciente, non gli basterebbe certo la « co-
scienza », pura e semplice, a farlo comportare diversamente da
quello che farebbe se non fosse cosciente, come la « coscienza »
di un uomo che cada dal quarto piano (e non abbia punti dove
aggrapparsi) non gli servirebbe affatto per evitare di cadere
come qualsiasi altro corpo pesante e conformato come lui.
L' influenza della « coscienza » nostra sui nostri atti non
ha presa che per una piccolissima parte di ciò che si potrebbe
chiamare il campo delle contemplazioni o aspettative nostre : e
a ogni modo, agli studiosi di fenomeni sociali, ciò che importa
di più dal lato pratico sono le coscienze e le azioni degli altri
le quali dipendono ancora meno dalle fantasie di chi li studia
in proposito ad esse.
Il caso di cui parli di facoltà che si acquistano pel solo
fatto di credere di possederle già, si verifica certamente qualche
volta (e più per le collettività e i partiti che non per gli indi-
vidui) ; ma è generalizzare un po' troppo l'erigerlo quasi a caso
« tipico » e ritenere che la « creazione della verità », che ivi
appunto si verifica, costituisca una regola e non un'eccezione
al caso ordinario. E, come tra le verità sono poche quelle che
si possano dire « create » dalla nostra credenza in loro, così
anche per ogni data « verità » è nei caso ordinario pochissima
la parte di essa che si può chiamare « convenzionale » o « ar-
bitraria ». E tale parte si riferisce più al nostro modo di enun-
ciare la verità stessa (es. scelta delle unità di misura, dei punti
di riferimento, etc.) che non alla sua « sostanza ». Noi siamo
per es. padroni di porre a base del nostro sistema di numera-
zione il numero 8, o 12 invece del 10, ma anche in tal caso
i numeri continueranno ad avere le stesse proprietà e quelli,
SAGGI E GIUDIZI 147
per esempio, che sono divisibili l'un per l'altro, rimarranno
tali anche nel nuovo sistema per quanto vengano scritti di-
versamente.
(22 gennaio 1904V
Fini e Mezzi.
A me non pare valga la pena di discutere se per raggiun-
gere un fine sia « più importante » avere « la volontà di rag-
giungerlo » ovvero conoscere i mezzi che son necessari per
ottenerlo : ciò che è certo è che il raggiungimento del fine può
essere reso impossibile tanto dalla mancanza del primo come
dalla mancanza del secondo dei suddetti due requisiti. (Se io
voglio fare un viaggio alla luna e non conosco alcun mezzo
per far ciò, la mia volontà serve così poco pel viaggio come
servirebbe la conoscenza dei mezzi se non ci fosse la volontà).
Inoltre io credo che tutte le volte che si discute, si discute
effettivamente sui mezzi e non sui fini e ciò non tanto perchè
de gustibus non est disputandum ma poiché il dire che si desi-
dera la tal cosa non è un'opinione affatto : tanto è vero che un
altro può desiderare l'opposto e non aver torto per questo.
Quando tra due si discute sulla desiderabilità d'una cosa si
discute sempre in fondo sulla sua capacità a servire da mezzo
per l'ottenimento di qualche altra cosa che ambedue sono d'ac-
cordo a desiderare o a riguardare come desiderabile : credere
di discutere sui fini è un' illusione.... se non m' illudo.
(15 febbraio 1904}.
Linguaggio come causa d'errore.
Sulla tua tesi generale non occorre dirti che non sono
d'opinione diversa dalla tua : purché però tu qualificando il
linguaggio come « causa d'errore » non intenda escludere che
esso è, almeno altrettanto, anche « causa di verità ». A seconda
dei vari campi di conoscenza o a seconda delle sue maggiori
o minori imperfezioni (non tutte irrimediabili) o del suo mag-
gior o minor adattamento ai suoi singoli uffici, può variare la
proporzione di errori o di verità di cui esso è causa, a comin-
ciar da quelle scienze nelle quali ogni errore potrebbe venir
rimosso dalla sola introdazione d'un linguaggio sufficientemente
perfetto, fino a quelle nelle quali i vantaggi risultanti da tale
introduzione sarebbero così tenui e aleatori da non compensare
148 L'ANIMA
le « spese d'impianto » d'una terminologia più esatta e coe-
rente di quella in uso e già adottata per bisogni pratici. La
quale, volere o no, ci asservisce e ci tiranneggia anche quando
taciamo, poiché anche il solo pensare ha bisogno di parole e
a questo riguardo se ammettiamo che la parola non è d'argento
dobbiamo pure ammettere che anche il silenzio non è d'oro.
(11 febbraio 1901).
Difesa del linguaggio.
Il tuo paragone, secondo il quale il linguaggio non sarebbe
che un trasmettitore o un conduttore e quindi (nota che neppur
questo « quindi » ti concedo) può esser solo « causa di imper-
fezione, di cambiamento di errore, non causa di vsrità », non
tiene conto, a quanto mi sembra, che di una sola tra le molte-
plici funzioni che esercita il linguaggio rispetto alla conoscenza :
quella cioè di mezzo di descrizione di fatti (interni o esterni)
avvenuti o « vissuti ». Esso trascura affatto l'altra non meno im-
portante che è quella di scegliere, organizzare, elaborare l'espe-
rienza passata in vista dell'azione futura e della previsione e
anticipazione di ciò che non è ancora avvenuto. L' impoveri-
mento della realtà (per quanto deplorevole dal punto di vista
estetico) è una condizione indispensabile per poterla dominare.
Per tradurre lo stesso concetto nel tuo linguaggio dovrei dire
che fra i vari modi di falsificare e deformare la nostra rappre-
sentazione delle cose e del mondo ve ne sono di quelli che ci
servono assai più validamente, nel nostro lavoro di creare e
deformare effettivamente la realtà, di quanto non ci serva la
passiva contemplazione cinematografica (interna o esterna) della
« corrente » tumultuosa di fatti in cui « viviamo, ci moviamo e
siamo ». Tali deformazioni ideali del mondo (condizione, ripeto,
indispensabile alle deformazioni reali) sono quelle che noi chia-
miamo, secondo i casi, coi nomi di « astrazioni, teorie, ipotesi
semplificatrici schemi logici » etc. e il cui insieme contribuisce
a costituire le singole scienze, in quanto queste sono scienze
vere, cioè atte a conferirci il potere di piegare l'andamento
delle cose secondo i nostri desideri, (la facoltà di distinguere i
casi in cui ciò è possibile da quelli in cui ciò non è possibile,
e nel primo caso l'abilità di ricorrere agli stratagemmi più
opportuni per catturare le forze cieche della natura e addome-
sticarle aggiogandole al nostro servizio).
SAGGI E GIUDIZI 149
Lo scienziato di fronte alla « natura » si trova nella po-
sizione di Loge di fronte ad Alberico quando l' induce a diven-
tare rospo (Doch wie du wuchsest — Kannst du auch winzig —
Und Klein dich SchafFen. ..) onde render possibile a Wotan di
afferrarlo e legarlo :
Dort die Kròte
Greife sie rasch
Halt ilin fest
Bis Ich ihn band ! !
(18 febbraio 1904).
Dio e il male.
In questa questione teologica, il ragionamento del Bren-
tano, se ben lo capisco, consisterebbe nel dire che Dio ha dovuto
permettere l'esistenza del male perchè senza di esso l'esistenza
del bene non sarebbe stata possìbile. Per rispondere poi all'ob-
biezione, che si presenta subito, che nel suddetto ragionamento
si viene implicitamente a negare V onnipotenza divina, egli
ricorre all'artificio (secondo me logicamente illegittimo) di far
figurare tale supposta impossibilità della esistenza del bene
senza il male, come un' « impossibilità logica », cioè qualche
cosa di analogo a una « contradizione ». (Così egli riesce a
mantenere l'onnipotenza di Dio, poiché il non potere realizzare
delle contraddizioni non è una limitazione alla potenza di chic-
chessia). Qui, a mio parere, siamo di fronte a quel solito equi-
voco che consiste nel cercare di far comparire una data propo-
sizione come evidente (nel nostro caso tale proposizione sarebbe
quella che afferma l' impossibilità dell'esistenza del bene senza
il male) dandogli una forma tale che si presti a essere inter-
pretata come una proposizione analitica. In altre parole è ve-
rissimo che 1' impossibilità a realizzare per es. una contraddi-
zione in termini è compatibile colla più perfetta onnipotenza ;
ma a ciò bisogna aggiungere che nessuna delle cose che si
possono immaginare realizzate (per es. il bene senza il male)
può essere qualificata come una contraddizione in termini : di
modo che se essa non si realizza non è perchè sia una contrad-
dizione in termini, ma per qualche altra ragione (sia essa da
cercare nella volontà di Dio, o altrove).
(24 febbraio 1902).
150 L'ANIMA
L' IMMORTALITÀ DELL' ANIMA.
1) Non riescirei con nessun sforzo a conservarmi anche
solo provvisoriamente nella situazione in cui tu ti dipingi :
quella, cioè, consistente nel sentirsi sicuro della proposizione : « Io
vivrò in eterno » e nello stesso tempo andar cercando che cosa
questa proposizione possa significare. Tutta la mia costituzione
mentale si ribella a un procedimento di questa specie. L'as-
senso a una proposizione, anteriormente al riconoscimento del
suo significato, mi pare sia un assentire a nulla. Si potrà certo
credere, e si crede d'ordinario anzi, senza sapere perchè si crede,
ma credere senza a sapere che cosa si crede mi pare una con-
traddizione in termini.
2) Alla « immortalità dell'anima » nel senso di un pro-
lungamento indefinito della coscienza personale dopo la morte,
io attribuisco il carattere di un' ipotesi, in appoggio alla quale
sta l'opinione o la convinzione di un certo numero delle mi-
gliori persone che siano mai esistite e di un certo numero
delle più care tra quelle tra cui vivo. Le prove che si pos-
sono addurre contro essa, fondate sulla dipendenza della co-
scienza e della memoria dallo stato degli organi corporali,
sull'analogia tra il caso degli uomini e quello degli animali
ecc. mi fanno 1' impressione di renderla alquanto improbabile,
e questa impressione non è diminuita che in grado minimo
da esperienze, di tendenza opposta, dello stesso genere, come
quelle fornite dalle ricerche cosiddette psichiche (medianismo
apparizioni), o dai fatti miracolosi ricordati nelle storie delle
varie religioni. «
3) Che con ragionamenti, o con argomentazioni del tipo
di quelle che si trovano nei libri dei teologi o dei filosofi, si
possa provare o confutare chi crede o chi non crede all' immorta-
lità nel senso sopradetto io non lo credo affatto. Ed è appunto
per la coscienza della gravità del problema che assumo un'atti-
tudine di indifferenza e quasi di disprezzo per le discussioni in
proposito, persuaso come sono della ioro assoluta e irrimediabile
inutilità e inefficacia. La mia attitudine a questo riguardo differi-
sce, come vedi, da quella degli agnostici propriamente detti per
questo : che mentre non credo si possa arrivare per via « dialettica »
o « sillogistica » alla soluzione del problema non escludo affatto,
anzi spero, che ci si possa arrivare per via sperimentale, inten-
SAGGI E GIUDIZI 151
dendo questa parola nel suo senso più largo comprendente l'e-
sperienza interna (comunicabile o no).
4) Sul valore morale della credenza all' immortalità, o.
più precisamente, sugli effetti di essa sul carattere di chi 1' ha,
anzitutto credo che la maggior parte di essi effetti persistano
anche nel caso che invece della credenza vi sia un certo grado
di dubbio (purché naturalmente tale dubbio non si avvicini
troppo alla certezza del contrario).
Inoltre, fede o speranza che sia quella che ciascuno di noi
ha nella immortalità propria, essa tanto vale quanto vagliamo
noi. Per l'uomo di alto sentire essa è uno stimolo di più all'a-
zione e al superamento di se ; per l'egoista un motivo di più
per preoccuparsi della propria « Salute » (compresa quella del-
l'anima), o per allargare il concetto della « carriera » estenden-
dola anche alla propria posizione nell'altro mondo (certe forme
egoistiche di ascetismo concepiscono il sacrificio quasi come delle
ritenute per aver diritto a pensione).
Infine ti propongo un'esperienza interna che data la tua
fede nell' immortalità tu sei in grado di eseguire anche mentre
stai leggendo queste righe :
Supponendo che tu potessi rinunciare alla tua immortalità
come Esaù alla primogenitura, ti sei mai trovato in casi in cui
per raggiungere qualche determinato scopo (in vantaggio tuo
o di altri) ti saresti sentito pronto un tale sacrificio rinunciando
ad essa? 0 puoi immaginarti che casi di questo genere ti si
presentino ?
Io credo di poter già rispondere di sì per te.
A me pare che tanto più valga la credenza all' immorta-
lità quanto minor valore, chi crede, attribuisce alla propria so-
pravvivenza. (Questa, per me non è un'opinione che possa essere
vera o falsa, ma l'espressione di un mio apprezzamento etico).
(17 giugno 1908).
Le verità necessarie.
Sul fatto che certe nostre opinioni hanno un certo carattere
che noi indichiamo dicendo che sono « necessarie » e che con-
siste in una speciale ripugnanza che sentiamo non solo a cre-
dere ma anche solo a immaginarsi o a supporre che esse non
siano vere, siamo d'accordo.
Si può discutere :
1) Sull'origine e le cause di tale ripugnanza.
152 L'ANIMA
2) Sulle conseguenze che da tale carattere di « necessità »
si possono trarre relativamente alla verità delle opinioni che da
esso sono affette.
Le due questioni sono strettamente connesse tra loro e non
possono a mio parere essere discusse una indipendentemente
dall'altra. Più precisamente, la risposta o conclusione a cui si
arriverà nella seconda, dipende principalmente (e anzi direi
esclusivamente) dalla conclusione a cui si sarà arrivati nella
prima.
Quanto al metodo da seguire per la trattazione della prima
esso non mi sembra poter consistere in altro che in un esame
comparato dei vari casi nei quali tale sentimento di necessità
si manifesta o si è manifestato nelle varie epoche di sviluppo
intellettuale (della razza o degli individui) sia per quanto ri-
guarda le opinioni popolari (religione etc.) che quelle speciali
ai cultori di singoli rami di scienze (pregiudizi professionali,
assiomi, etc), non che delle circostanze da cui è stato deter-
minato il sorgere di nuove « necessità » (per es. la « conser-
vazione della massa ») o il decadere di « necessità » antiche
(per es. l' impossibilità degli antipodi etc). A tale studio indut-
tivo e comparativo, daranno contribuzioni preziose gli studi
di psichiatria, sulle idee fìsse, sulle allucinazioni parziali etc.
(troppo poco utilizzati sinora a tale scopo), gli studi di « psi-
cologia infantile », quelli sulle idee dei selvaggi dei popoli
primitivi etc
La tendenza di ricerche induttive di tal genere, come si
può già desumere anche dal poco cammino che si è fatto in
esse, è innegabilmente verso la conclusione che la maggior
parte delle nostre pretese « necessità mentali » (analogamente a
molte delle nostre necessità fisiche) non sono che un prodotto
dell'abitudine e, in tale qualità non provano quindi altro che
la presenza costante nella nostra esperienza passata di dati
caratteri o aggruppamenti costanti atti a farle sorgere.
Su questo io credo che sarai ancora d'accordo con me. Ma
qui forse comincia la differenza: Io credo che oltre all'esperienza
e alle sue ripetizioni costanti vi sia anche un altro fattore da
considerare come portante il suo contributo al sorgere e al raf-
forzarsi del comune sentimento di « necessità » che caratterizza
alcune delle nostre opinioni, specialmente su soggetti astratti
e filosofici.
Questo altro fattore è quello la cui azione ho tentato chia-
SAGGI E GIUDIZI 153
rirti con quella metafora dell' « oscillazione » che non ha incon-
trato il tuo gusto. Mi rispiegherò quindi senza metafora (o, in
altre parole, con diverse parole). Gli scienziati usano, per co-
modo loro (e hanno mille ragioni) cambiare in minore o mag-
gior grado il senso delle parole che assumono dal linguaggio
comune per adoperarle come termini tecnici. Così per es. « forza »
non significa per i meccanici quello che tutti noi intendiamo
quando pronunciamo tal nome, ma vuol dire invece qualunque
« causa di variazione nella velocità (o direzione) del moto d'un
corpo ». Ora prendi per es. la frase seguente (che è il cosidetto
principio d'inerzia): « Che ogni corpo non sollecitato da una
forza si muove sempre con la stessa velocità e direzione ». Questa
frase ci fa l'effetto d'una proposizione « necessaria » solo perchè,
pur continuando a attribuire in essa alla parola « forza » il
senso abituale e comune della parola, pure pensiamo che essa
non può cessare di essere vera senza che noi cadiamo in con-
traddizione colla definizione tecnica sopra enunciata della pa-
rola « forza » come termine scientifico. Di questo successivo
scambio, tra i due significati, noi non ci rendiamo perfetta-
mente conto (allo stesso modo come quando guardiamo un cine-
matografo non ci rendiamo conto che l' immagine che abbiamo
davanti, pure sembrandoci sempre la stessa, è formata dal suc-
cedersi di continuo di più immagini differenti tra loro): noi
crediamo cioè di attribuire, alla frase, sempre uno stesso signi-
ficato e facciamo invece in certo modo un calembour incosciente
(cioè senza sapere di farlo) attribuendogliene due nello stesso
tempo (e quel che è peggio non sempre compatibili fra loro).
La « luce » dell'evidenza che noi crediamo « semplice » è, come
quella solare, composta di raggi eterogenei sovrapposti : l'ana-
lisi filosofica serve da « prisma » per decomporla.
(1 novembre 1903).
L'Attività creatrice e la Filosofia.
L' « attitudine creatrice » che tu attribuisci alla filosofìa
consisterebbe dunque nella capacità di tradurre direttamente in
atto i nostri desideri, senza alcun intermediario esterno; nel-
l'estendere cioè a tutte le cose quella padronanza che noi già ora
esercitiamo (fino a un certo punto) sui movimenti dei nostri mu-
sooli e sul corso dei nostri pensieri. Ammetto che l' ideale è
bello anzi che è V unico ideale bello perchè... comprende tutti gli
154 L'ANIMA
altri e implica la realizzazzione immediata di tutto ciò che
possiamo immaginarci di desiderare ?
Ma per raggiungerlo o anche solo per avvicinarsi ad esso
qual via ([aìGoS'ós), quali mezzi, quali « strumenti » abbiamo a di-
sposizione? Come conoscere che quelli che tu credi siano effi-
caci a ciò lo siano effettivamente ?
Tu sei nel caso di uno che volendo colorire di giallo un
oggetto dicesse che il mezzo più sicuro è quello di procurarsi...
l' itterizia, e poi non sapesse indicare nessun specifico o pro-
cesso per provocare una tale malattia. E anche se tu fossi ab-
bastanza.... incoerente per occuparti di cercare.... il mezzo di
far senza di ogni mezzo, resterebbe sempre la questione: se e
fino a che punto valga la pena di modificare noi stessi invece
di modificare coll'azione esteriore le cose stesse (o gli uomini)
senza scomodarci a sconvolgere troppo i gusti che ci troviamo
avere o trasportare il nostro piano o punto da cui le guardiamo.
(27 gennaio 1904).
.... nel mio tentativo di « individualizzare » il tuo modo di con-
cepire la filosofìa ho trascurato un carattere importante, quello
cioè della « attività creatrice ». Tale omissione è tanto più da
riparare in quanto la considerazione di questo lato della tua
« filosofìa » viene a dare ulteriore conferma a quella mia prima
congettura relativa al desiderio di libertà, di emancipazione, di
ribellione etc. come movente fondamentale del tuo fermento
« ideologico ».
Ma venendo, come dicono i legali, al merito della questione,
io domando; queste « attività creatrice, magica etc, » da che cosa
distingue la filosofia. Se essa non la distingue dall' arte (alla
quale la stessa qualità compete in modo ancora più caratteri-
stico, come del resto anche l'altra della ricerca del particolare)
non le distingue neppure dalle scienze particolari ciascuna delle
quali, nel proprio campo speciale, è o più essere altrettanto
creatrice o magica quanto l'arte o la filosofìa nel loro. Un chi-
mico che compone un nuovo profumo o un nuovo veleno, un
ingegnere che fa un impianto elettrico, un allevatore che crea
una nuova specie o varietà di bachi da seta o una nuova razza
di cani, uno psicologo o un educatore che forma (o perverte) un
anima etc. sono per lo meno altrettanto creatori quanto il co-
struttore di nuovi schemi filosofici, o il cesellatore di nuovi
SAGGI E GIUDIZI 155
aforismi o il coniatore di nuove « parole d'ordine (o di « disor-
dine ») atte a servire nelle logomachie filosofiche, o lo scopri-
tore di nuove giustificazioni per gli istinti umani etc. etc.
La connessione tra il tuo concetto della missione creatrice
della filosofìa e il sopraccennato istinto all'emancipazione e alla
libertà più illimitata è benissimo caratterizzato da H. Sturt in
una recensione che leggevo appunto stamattina nell'ultimo nu-
mero (January) del Mind, a proposito d' un nuovo libro di
A. W. Moore: Such speculations as these (that thought has not
so much as its function the representing of reality as the crea-
ting of it) undoubtly tend in the right direction. — The only
danger is lest those who are pushing forward on this path
should tend to forget that thought however creative cannot
create out of nothing, and that objective reality, though not at
ali static and immutable, sets definite limits to ali human crea-
tive activity.
Le verità, le leggi di natura etc. sono rotaje su cui i fatti,
e in particolare le nostre azioni si devono muovere ; tu dal tuo
istinto di libertà, sei portato invece a concepire 1' uomo come
una nave che crea la propria rotta e non ha solchi davanti a
sé ma solo di dietro, cioè quelli che essa stessa fa.
(30 maggio 1904).
156 L'ANIMA
IL VOLUME DEGLI " SCEITTI „
Appena Vailati fu morto sorse in inciti nello stesso tempo l' idea di rac-
cogliere i suoi scritti sparsi e dispersi in un volume solo. In una riunione te-
nuta in casa del senatore Volterra a Roma, la pubblicazione fu decisa e la
cura ne fu data a tre suoi amici carissimi : Mai-io Calderoni, Giovanni Vacca e
Umberto Ricci. Fu aperta una sottoscrizione che in poco tempo fruttò più di
seimila lire. Fra i sottoscrittori figurarono, fra gli altri, Antonio Beltramelli,
Franz Brentano, Benedetto Croce, Duhem, Enriques, Farinelli, Pietro Foà, Gio-
vanni Gentile, William James, A. Lasson, E. Mach, Enrico Morselli, Gaetano
Mosca, Ugo Ojetti. Miss Paget, G Peano, Bertrand Russell, G. iSalvemini, G. Ta-
rozzi, F. Tocco, B. Varisco, Lady Welby e moltissimi altri ammiratori ed
amici. Il ministro della pubblica istruzione, naturalmente, non dette nulla —
cioè : una lettera di Credaro.
Si cominciò a stampare il volume nell'agosto 19' 9, a Firenze, nello sta-
bilimento Aldino, e la stampa occupò quattordici mesi. Il volume, che per lo
spaccio fu affidato alla libreria Seeb<-r di Firenze per l'Italia e a quella Barth
di Lipsia per gli altri paesi, uscì nel dicembre 1910.
È un bel volume di gran formato che contiene :
1) una prefazione degli editori (pp. vii-xjj).
2) la lista dei sottoscrittori (pp xiii-xvi).
3) l'indice generale del volume (pp. xix-xxxiii).
4) La biografia di G. V. scritta dal P. Orazio Premoli, suo cugino e amico
intimo (pp. I-XXlX). Questa vita è belia e ricca di notizie e lettere, specie per
la gioventù del Nostro, ma è forse troppo personale e un po' tendenziosa per
quel che si riferisce alle credenze religiose. Inoltre v'è tutto un lato della
personalità di V. — quella socievole, gaia, entusiasta, paradossale — che non
appare abbastanza.
5) Gli scritti di G. V. (pp. 1-947).
6) Indice analitico per ordine alfabetico (pp. 951-970) compilato pa-
zientemente da M. Calderoni e veramente prezioso per chi voglia studiare il
pensiero del V.
7) Una nota (pp. 971-72) che si riferisce a uno scritto di V. sull' inse-
gnamento della filosofia.
Sui 21?) scritti che compongono il volume ben 122 sou recensioni di libri
o di articoli ; 9 semplici e nude relazioni di congressi, e 2 traduzioni, (Meyer,
Un tempio sacro ; Aristotele, Il primo libro della metafisica).
Resterebbero 80 scritti originali, de' quali 12 son ripetuti, sicché si ridu-
cono a 68 Però anche fra questi ultimi ve ne sono alcuni che prendon le
mosse da un libro. Il V. quando s'era innamorato d'uu libro, non lo recensiva
una volta sola: vi sono ad esempio 11 recensioni del James, 4 di Mach, 4 di
Effertz, 4 di Calderoni, 3 di Guastella...
Classificando gli scritti, sì recensioni che articoli originali, secondo gli
argomenti vediamo che 29 son di matematica o di logica matematica; 12 di
logica; 17 di filosofia delle scienze; 22 di storia delle scienze; 36 di filosofia in
generale; 16 di storia della filosofia: 11 di psicologia; 11 di studi medianici;
il di questioni pedagogiche; 11 di morale e dei suoi rapporti col diritto; 18
di sociologia ed economia politica; 3 di linguistica, 2 di storia delle religioni
e 3 di varietà semiletterarie.
14 di questi scritti furono pubblicati in francese ; 4 in inglese ; 1 in greco
e 1 in polacco.
Fra gli scritti originali i più importanti sono i seguenti:
— Sull'importanza dille ricerche relative alla storia delle scienze (1896)
pp. 64-78.
— Il metodo deduttivo come strumento di ricerca (1897) pp. 118-148.
— Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della Scienza
e della Cultura (1898) pp. 203-228.
— Le iòle du paradoxe dnns la philosophie (1905) pp. 553.
— I tropi della logica (1905) pp. 564-71.
— La caccia alle antitesi (1905) pp. 582-589.
SAGGI E GIUDIZI 157
— La ricerca dell'impossìbile (1905) pp. 659-666
— Pragmatismo e logica matematica (1906) pp. 689-694.
— La grammatica dell'algebra (1908) pp 871-839.
— Il linguaggio come ostacolo alla eliminazione di contrasti illusori
11908) 895-899.
— Le origini e Videa fondamentale del Pragmatismo (1909) pp. 920-932.
— Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente (1909) pp. 933-941. *
Chi legga attentamente anche solo questi 12 scritti può avere un' idea
abbastanza precisa della mente di Vailati
Morendo il V. lasciò interrotto un libro sul Pragmatismo, di cui due capi-
toli son compresi nel volume, e che vien continuato dal sup amico e discepolo
Mario Calderoni.
Tra i suoi fogli, a Crema, furon trovati molti appunti per un'opera sullo
Spirito (esprit, icite) cioè una raccolta di facezie^ e spiritosaggini e un piano
di classificazione psicologica e razionale di esse. È rimasto inedito, per inav-
vertenza, uno scritto di V. sulle proporzioni, che sarà presto pubblicato a cura
del prof. Enriquez.
Gli editori degli Scritti banno promesso di pubblicare, col resto della
sottoscrizione e col ricavato della vendita, una scelta delle sue lettere. Di esse
abbiamo dato in questo numero un saggio. Una, sul Congresso di Filosofia di
Ginevra (1904), fu pubblicata da E. Troilo nelle Cronache Letterarie.
GIUDIZI SU VAILATI
Ebbe realmente alcune parti di Socrate e fu un po' anche lui ostetrico
d'anime : per la liberalità del suo sapere e del sao sentire attrasse potente-
mente alcuni giovani e destò in essi entusiasmi sconfinati ed illimitata devo-
zione. 11 pragmatismo italiano deve riconoscere in lui l' iniziatore e il promotore
non dirò più geniale, ma certo più equilibrato e più solido. E questa parti-
colare attitudine di pensiero caratterizza Vailati meglio d'ogni altra: matema-
tico, storico delle scienze, metodologo e logico-matematico, egli non dà la sua
nota personale così chiara in niuno di questi studi come nel suo pragmatismo.
Th. Neal.
Vailati, in tante altissime discipline ingegno eccelso e potente, fu nella
nostra Commissione della riforma della scuola, lavoratore che emerse per il
pensiero e per l'opera. Paolo Boselli.
Era filosofo, perchè amava sobriamente e candidamente la vita ; perchè
seppe preferire l'oscurità e la decente penuria del suo Istituto Tecnico alle
alte posizioni che si conquistano sacrificando quasi sempre la propria indipen-
denza ideale, molto spesso anche la propria dignità ideale. Perchè infine fu
signorilmente largo della sua dottrina e della sua bontà con gli amici; e seppe
coltivare il giardino della scienza noa per gli alberi utili da cui pendono gli
onori e le comodità materiali, ma per i fiori di bellezza e di luce ch'esso pro-
mette al libero viandante. G. A. Borgese.
Non credo di aver mai conosciuto altro uomo più oggettivo di lui in qual-
sivoglia discussione o ricerca. Tutti siamo lieti di aver risoluto un problema,
per piccolo che sia, di aver trovata una via là donde altri non seppe uscire,
di aver tolto di mezzo ostacoli che arrestarono altri « di noi migliori »; ma
tutti, più o meno, non giudichiamo le soluzioni, le argomentazioni, le grandi o
piccole scoperte nostre con la stessa indipendenza di giudizio che largamente
ci soccorre nel giudicare le altrui. Al Vailati, invece, l'opinione propria, forse
più spesso che l'altrui, era oggetto indifferente di critica severa. S'era a volte
in molti a dargli causa vinta e a riconoscere, non senza qualche rincresci-
mento, l'errore nostro e, con caldo entusiasmo, la giustezza del ragionamento
suo : ma non si si arrestava per questo il lavorio tenace della sua mente, e si
doveva spesso fluire per concedergli che il torto nostro consistesse nell'avergli
data troppo presto ragione. «. Spirito di contraddizione », mormorava sorridendo
egli stesso, e l'avrò pensato anch'io le prime volte : non lo dissi e non lo pensai
più, quando mi avvidi che i suoi « no » non erano dialetticamente meno sin-
1 Questi ultimi due furono scritti in collaborazione con Mario Calderoni.
158 L'ANIMA
ceri dei suoi « sì », e la contraddizione si rivelava come non altro che più
intensa, più tenace, più ostinata riflessione. G. Vitelli.
Non costruì sistemi, non scrisse opere, non ebbe nemmeno editori. Pian-
tatosi in mezzo al campo filosofico con quella sua quadratura robusta di uomo
semplice e fino, ascoltò con curiosità e riferì con esattezza ciò che dicevano
gli altri, ora scuotendo il capo in tono insoddisfatto, ora annuendo pieno
d'energia, più di rado alzando le spalle irritato e sprezzante. Né si limitò a
registrare, come un sismometro, le oscillazioni spirituali del suo tempo ; ma
seppe scegliere fra le idee multiformi che il risucchio delle cose gli poneva
innanzi e dare un significato e un valore a ciascuna delle idee scelte. Il suo
metodo era un po' socratico : determinato un argomento, l'ultimo libro di un
certo interesse, esporne le direttive, riallacciarle alla storia della materia, ri-
spondere alle domande : Che cosa ha detto di nuovo ? Come lo ha detto ? Che
cosa si potrebbe dire ancora? E lì, riflessioni contrapposte a riflessioni, limi-
tazioni, attenuazioni, aggiunte. Non potendo prendere ciascun lettore in di-
sparte, il Vailati si pose in mezzo a tutti : la recensione è il mezzo più idoneo
perchè le idee, suscitate in lui da una lettura, si affaccino alla luce, abbiano
contatto col pubblico. G. Rabizzani.
In quel volume chiunque legga scorge lo sviluppo perfettamente organico
di una mente squisitamente sensibile e come la curvatura di uno spirito che
cerca una sua perfetta armonia. Non è difficile riscontrare a traverso quelle
pagine una linea diretta e sicura di pensiero, per entro un atteggiamento mute-
volissimo di tendenze In tutti quelli scritti, per chi ben vi riguardi, sono una
saldezza ed una unità spirituali meravigliose, insieme con una straordinaria
coerenza personale: fenomeno questo che stupisce quando si ripensi alla im-
mensa varietà degli argomenti che son toccati nel volume, ed all' innegabile
carattere sofistico dell'ingegno del Vailati. Il fatto stesso che tutti gli scritti
sono determinati e non spontanei parrebbe dover pregiudizialmente contradire
a tale accertamento : invece esso è una riprova di quello che, per dire una
brutta parola, era il meccanicismo di quell'ingegno, il quale amava cimentarsi
quasi per un'audacia sicura che fidava nelle proprie forze comprensive, con
qualsiasi manifestazione dell'attività umana ; esso è una riprova dell'integrità
fortissima che quello spirito possedeva in sé e per se stesso, di là dalle con-
tingenze accidentali della parola scritta. E. Bodrero.
BIBLIOGRAFIA
Vitelli G. G. V. (Marzocco, 23 Maggio 1909].
Rabizzani G. L'opera di G. V. {Marzocco, 22 Gennaio 1911).
Troilo E. In memoria di G. V. [Cronache letterarie, 22 Gennaio 1911).
M. Calderoni. G. V. (in Eivista di Psicologia applicata, a. V., n. 5, Settem-
bre-Ottobre 1909).
G. Papini. G. V. [La Voce, a. Ili, n. 13, 30 Marzo 1911).
B. Fogarasi. G. V. (in Huszadtk Szàradi, Aprile 1911)
E. d'Ors. G. V. (La Veu de Catalunya, juny 1909).
G. Amendola. G. V. (Bussky Mysl 1911).
— Gli scritti di G. V. (Nuova Antologia, 1° Marzo 1911).
— G. V. {Giornale d'Italia, Maggio 1909).
B. Varisco. G. V. (Rivista di Filosofia, 1909).
A. Cappellazzi. Gli scritti di G. V. (Rivista di filosofia neo-scolastica, a. Ili,
n. 2, 20 Aprile 1911, pp. 272-75).
E. Bodreko. La genialità latina e il pensiero di G. V. (Rivista Italiana di
sociologia, a. XV, fase. Il, Marzo-Aprile 1911).
G. A. Borgese. Un divulgatore (Stampa, 21 Maggio 1909. Ristamp. in La
Vita e il Libro, Torino. Bocca, 1910, la serie, pp. 468-474).
Th. Neal [A. Cecconi]. G. V. (La Cultura Contemporanea, a. Ili, fase. III-IV
aprile-maggio 1911, pp. 271283).
Index. G. V. (in Corriere della Sera, 19 febbraio 1911.
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